ASSISTENZA ANZIANI
La non autosufficienza si affronta con un’adeguata formazione di chi si prende cura della persona non più autonoma, e dando ai familiari la garanzia di contare su una valida rete di supporto
«Cerco di provvedere da solo, per quello che posso fare», oppure «Mi rivolgo a quella signora con cui i miei vicini sono stati bene», ma anche «Mi affido a chi riesco a trovare». Espressioni del genere sono frequenti nella vita di tutti i giorni: le pronuncia chi si trova a dover dare assistenza a un familiare non autosufficiente. È la dimostrazione di quanto si ricorra all’aiuto “fai da te”, spesso carente di formazione, con molto peso dato al passaparola nella ricerca di un sostegno. Invecchiare è complicato, come messo in rilievo nel convegno “Welfare familiare: l’anziano oggi, una ricchezza di cui prendersi cura”. Quando si perde l’autosufficienza è naturale la preoccupazione dell’anziano, ma anche dei familiari, che si sentono fragili di fronte a una situazione irreversibile. Ecco perché bisogna garantire più qualità all’assistenza: un obiettivo, questo, che sta progredendo, tra iniziative già avviate e riflessioni sui prossimi passi da compiere.
In Italia, certo, si sta invecchiando meglio rispetto alle epoche scorse: come sottolineato nel convegno e presentato in un precedente articolo, sale il numero di persone dai 65 anni in su con una quotidianità molto dinamica, attiva. E mentre la prospettiva di vita aumenta, si tende a far coincidere il “varco” verso l’anzianità proprio con la perdita dell’autonomia. «Nei prossimi 20 anni ci sarà l’onda lunga delle buone pensioni, associate a una migliore qualità di vita – prospetta Paolo Crepet, psichiatra e sociologo – Siamo di fronte, dunque, a un periodo positivo. Tuttavia, nel frattempo la famiglia si sta riducendo: un figlio unico si troverà così le stesse responsabilità di assistenza ai genitori una volta distribuite tra più fratelli». Il ricorso a un aiuto esterno, fornito da chi è in genere chiamato “badante”, si prospetta così sempre più ricorrente. Nel panorama dell’assistenza «Servono sperimentazione e creatività – suggerisce Crepet – Siccome la periferia è diversa dal centro per condizioni di vita, come pure per la sensazione di solitudine che un anziano può provare, bisogna offrire risposte differenti, in base al territorio. La formazione di chi presta aiuto nelle case dovrebbe dunque seguire questa impronta diversificata. Stesso discorso per la valutazione degli assistenti. Questi, in generale, devono sapere innanzitutto che è difficile far cambiare a un anziano le sue abitudini, e devono saper gestire gli aspetti, anche i più complessi, del suo quotidiano». Utile poi, secondo lo psichiatra, l’istituzione di un albo degli assistenti, come pure uno sviluppo delle società e degli operatori che offrono formazione alle badanti, mettendole in contatto con le famiglie. Crepet non dimentica, però, chi si affida all’assistenza residenziale in apposite strutture: in questo caso, commenta il sociologo, «È compito dello Stato andare a controllarle, utilizzando anche sistemi di valutazione». Lancia poi una proposta: pensare a luoghi molto piccoli in cui badanti si prendono cura degli anziani: «Queste persone percepirebbero così di non essere né sole in casa, né nella moltitudine tipica delle residenze sanitarie assistenziali».